Un crocifisso al collo…grazie a tutti!
|In questo articolo abbiamo raccolto tutte le nostre iniziative mirate a sostenere la compagna mediatica lanciata, dal nostro sito, contro la sentenza per noi “iniqua” della Corte europea, atta a eliminare il “Crocifisso” da tutti gli uffici pubblici italiani.
E’ il nostro modo per ringraziare, uno per uno, tutti coloro che hanno testimoniato e aderito all’iniziativa, lasciando un commento sul nostro sito o semplicemente postando nella nostra mail un “SI” come segno di adesione:
a tutti voi “grazie”.
Basta “cliccare” su ogni singolo titolo per entrare nell’articolo e leggere nei detagli le nostre proposte.
- Crocifisso: comunicato stampa CEI
- Padre Federico Lombardi: “eliminare” il Crocifisso…
- Un crocifisso al collo (la nostra campagna mediatica)
- For You – Il crocifisso espulso e ritrovato (video)
- Questo sito porta un “Crocifisso al collo”…
- Aderisci alla proposta, esponi il logo sul tuo sito e sostieni la nostra campagna
22 Comments
Cara Redazione,
sono il coordinatore del Circolo UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – di Salerno e apprezzo la vostra iniziativa di un “crocifisso al collo” è un’iniziativa laica e democratica che non impone nulla a nessuno.
Il crocifisso esposto nei luoghi pubblici statali invece presenta un problema non perché offensivo ma perché sintomo di un comportamento discriminatorio da parte dello stato, ricordo infatti che la religione cattolica non è religione di stato dal 1985 (anno in cui entrò in vigore il nuovo concordato firmato nel 1984 dalla Chiesa Cattolica e dall’allora primo ministro Craxi) e dunque i simboli della Chiesa Cattolica non si possono considerare simboli della Repubblica Italiana.
Dunque esponendo il simbolo di una religione specifica (quella Cattolica, ma il problema sarebbe lo stesso se esponesse il simbolo di altra religione o di convinzioni di parte) lo stato di fatto indica un’adesione a quella religione considerandola in qualche modo superiore alle altre, di fatto implicando che i cittadini che non si riconoscono in quella religione non sono cittadini quanto chi in quel simbolo si riconosce.
La cosa è particolarmente grave in quei luoghi dove si formano le coscienze (quali appunto la scuola pubblica) e non si è ancora in grado di esprimere una piena coscienza critica.
Dire che il crocifisso è un simbolo culturale e della tradizione è vero ma sicuramente questo non lo spoglia del suo alto valore religioso per i fedeli della Religione Cattolica.
Nessuno vuole impedire di esibire la propria fede o di comportarsi conformemente ad essa ma riteniamo che lo stato debba farsi garante di questa libertà tanto per i credenti che per i non credenti, e per essere garante non può essere che super-partes rispetto a tutte le opinioni, deve dunque badare a garantirle tutte nel rispetto delle leggi e della costituzione.
In definitiva voglio sottolineare la differenza tra indossare un simbolo religioso, metterlo in un luogo di culto, esporlo in un luogo pubblico ma privato (un negozio ecc) e l’esposizione dello stesso simbolo in un luogo statale ad opera dello stato (imposto per regolamento) quest’atto ha tutt’altro valore simbolico e risulta impositivo in quanto, ripeto, esibire un simbolo di una parte dei cittadini discrimina tutti gli altri.
Cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Grazie, signor Pagliara, del suo commento e della sua pacatezza.
Aggiungo soltanto una semplice riflessione alle altre già esplicitate in varie occasioni. Se è vero che dobbiamo togliere il crocifisso dalle scuole, dobbiamo anche eliminare le feste che sono tali in virtù di eventi religiosi. Se il principio è valido, dovrebbe esserlo sempre.
Comunque sono felice di averla conosciuta, anche solo attraverso email. Cordialmente, Nello Senatore
Cortese signor Salvatore,
sono Mario Tomasone, anch’io memebro della associazione UAAR e, avendo avuto segnalazione da Fabio di questa discussione, sono entrato in questa pagina leggendo la sua osservazione circa le feste religiose.
In tutta sincerità, ritengo che il suo paragone non regga, e le spiego perchè.
Nel nostro calendario sono riportati alcuni giorni festivi legati a determinate ricorrenze religiose, quali il natale o il lunedì dell’angelo, al pari di quanto accade in altri stati tradizionalemnte meno “confessionali” (penso ad esempio alla Francia) o addirittura “scismatici” (la Gran Bretagna)
L’individuazione dei giorni festivi , infatti, deriva sì dalla tradizioni e dalle radici della singola nazione, ma non impone alcun obbligo a nessuno.
In altri termini, se io decidessi di tenere il mio negozio o la mia attività aparta il giorno di natale, sarei libero di farlo. Del resto, in questi ultimi anni (e soprattutto nelle grandi città) assistiamo a un aumento sempre più sensibile di esercizi commerciali che sono aperti anche nei giorni festivi (penso in particolar modo ai supermercati e ai grossi centri commerciali)
Parimenti, se la mia religione d’appartenenza detta dei giorni festivi che non coincidono con quelli celebrati dalla “maggioranza”, sono libero di osservarne la sacralità senza dover chiedere permesso ad alcuno. Penso, in particolare, al mondo bancario e della finanza che ha sempre osservato il sabato come giorno di riposo per tener conto delle esigenze degli operatori del settore di religione ebraica.
La questione del crocifisso nelle scuole pone invece un altra questione, come bene evidenzia Fabio.
In Italia sussite infatti l’OBBLIGO per tutti i bambini di una certa fascia di età di frequentare la scuola. I bambini che frequentano le scuole dell’obbligo statali debbono essere accolti in un ambiente che sia quanto più rispettoso e rappresentativo della realtà di cui sono emanazione, in quanto istituzioni della Reppublica Italiana (al pari di tribunali e ospedali del SSN, tamto per citare due esempi dove tanto ci serebbe da discutere)
In queste sedi, pertanto, non si capisce perchè debbano avere e evidenza così forte simboli che non siano quelli che individuano e connotano il nostro stato -il tricolore, lo stemma della Repubblica, il ritratto del presidente.
Per sintetizzare, quindi:
le feste posso osservarle o meno, ma a scuola di debbo andare per obbligo.
Cortesi saluti.
Mario Tomasone
Mi scuso per il refuso: intendevo Senatore , non Salvatore.
Grazie per l’attenzione
Mario Tomasone
Gentilissimo signor Tomasone,
solo per amore della logica, non per innescare un dibattito sul filo della polemica, mi chiedo, se io non sono cattolico, parlo del mondo della scuola e non dell’apertura dei negozi, perchè devo essere costretto a non andare a seguire le lezioni; inoltre se è valido il principio che vi sono feste legate a ricorrenze religiose e accettate da credenti e non credenti, perchè non diovrebbe valere lo stesso principio per il crocifisso?
Saluti cordiali e grazie, Nello Senatore
Ho sempre piacere a sviluppare una discussione interessante.
Ho paura , però, che qualcosa non mi sia del tutto chiaro nel post precedente. Vediamo se ho ben interpretato.
[quote]- mi chiedo, se io non sono cattolico, parlo del mondo della scuola e non dell’apertura dei negozi, perchè devo essere costretto a non andare a seguire le lezioni-[/quote]
Mi dica se ho ben compreso: poniamo che io sia di religione ebraica. Poichè nella scuola alementare statale dove ho iscritto mio figlio ci sono crocifissi nella classe, io sarei costretto a non farlo frequentare le lezioni. E’ questo il suo concetto? La prego di correggermi se ho mal interpretato il suo post.
Se così fosse, infatti, ho paura che stiamo parlando di due cose diverse.
Il punto è che, essendo la scuola dell’obbligo, io non posso tenere mio figlio lontano dalle lezioni se non rischiando di incorrere in un reato di rilevanza addirittura penale , se la memoria non mi inganna.
Quindi, sono obbligato a mandarlo a scuola.
Quindi, ogni giorno mio figlio trascorrerà molte ore in un’aula in cui è presente, in bella vista, un simbolo religioso del tutto diverso , ad esempio, dalle mezzuza che si trovano sugli usci di casa.
Poichè il bambino si trova in quel momento in una scuola pubblica (scuola elementare statale “Gianni Rodari) associa quel luogo in cui per la prima volta ha un contatto diretto e tangibile con lo stato italiano con una serie di cose: la maestra, il bidello, la cattedra, il ritratto del presidente Napolitano, il crocifisso.
Conseguentemente, si chiederà come mai lo stato espone in classe simboli di una religione che non è quella professata nella sua famiglia.
Tornando a casa, come fanno tutti i bambini, si rivolgera al papà dicendo: “papà, perchè in classe c’è un crocifisso e da noi, dalla zia Esther e in sinagoga neanche uno?”
Che potrà rispondere il papà?
Non potrà certo dire “figlio mio, visto che in classe c’è il crocifisso in quella brutta scuola io non ti ci mando più!!!”
Oltre ad essere inacettabile per legge (ricordiamoci sempre che stiamo patrlando della scuola dell’obbligo), ciò creerebbe tutta un serie di problemi per il bimbo che potremme iniziare a sviluppare dei sensi di colpa o di inferiorità nei confronti dei sui compagni di scuola di religione cattolica.
No, le uniche cose sensate che restano da fare al genitore è sono:
1 – continuare a mandare il bambino a scuola e fare finta di niente cercando di minimizzare
oppure
2 – continuare a mandare il bambino a scuola e contemporaneamente chiedere al preside la rimozione dei crocifissi.
Come vede, il bambino continua ad andare a scuola COMUNQUE, Nel primo caso, sarà consapevole più o meno acutamente di una sua diversità rispetto ai compagni di classe, nel secondo caso…..quel che accade lo stiamo vedendo in questi giorni!
[quote]- inoltre se è valido il principio che vi sono feste legate a ricorrenze religiose e accettate da credenti e non credenti, perchè non diovrebbe valere lo stesso principio per il crocifisso?[/quote]
Per quanto riguarda questo punto, rimando al ragionamento sopra esposto.
Con una distinzione. Come dicevo nel post precedente, io posso scegliere liberamente se “fare festa” o “non fare festa” in particolari ricorrenze. Certo, lei mi dirà che se sono un dipendente , che so, di un ufficio postale io il lunedì dell’angelo farò festa indipendentemente da come la pensi.
In un rapporto di lavoro subordinato, però, il calendario delle ferie e delle festività è oggetto di accordi contrattuali e sindacali, espliciti o espliciti, che io accetto nel momento in cui sono assunto per svolgere quel lavoro. Si tratta , cioè, di una materia che è normata dalla giuslavoristica e dei contratti di categoria e che stabilisce tutta una serie di aspetti che riguardano le attività lavorative della persona senza entrare nel merito delle convinzioni religiose.
Per essere ancora più espliciti: supponiamo che il papà dell’esempio precedente, dipendente delle poste, si appresti a celebrare l’hannukha. Ad un certo punto, andrà dal suo capufficio per chiedere un giorno di ferie per la ricorrenza.
Se il lavoratore ha diritto ad usufruire di quella giornata di ferie (ad esempio perchè non ha ancora esaurito il suo monte-ferie annuale) e se ne ha fatto richiesta con l’anticipo minimo previsto dal suo contratto (che so, dieci giorni prima), le ferie dovranno essere concesse senza se e senza ma.
Come si può notare, sulla gestione del calendario lavorativo influiscono molteplici fattori e ogni persona, con un minimo di attenzione , può tranquillamente gestire il tutto in amniera da non rinunciare alle tradizioni della propria fede/confessione, nel pieno rispetto di quella degli altri lavoratori
Per quanto riguarda il corcifisso nelle aule scolastiche (o nei tribuanli, o negli ospedali del SSN) si tratta di un oggetto messo lì e imposto a tutti, senza che si possa discutere o pianificare.
Per questo noi dell’UAAR chiediamo che i crocifissi siano tolti dai luoghi pubblici.
Spero di essermi spiegato bene e mi scuso per il post forse un po’ prolisso
Cordialmente
Mario Tomasone
Caro signor Mario Tomasone, io ho due figli che a scuola hanno il piacere di avere come amici un ragazzino di religione mussulmana e due testimoni di Geova e non vedo in loro tutto quel terrore o tutto quell’astio che lei vuol far vedere da parte di un ragazzino ebreo, nel vedere in aula il crocifisso.
Tutto sommato credo che i loro genitori abbiano spiegato loro che l’integrazione va fatta accettando quello che la maggioranza di un popolo vuole esternare e non cancellando la storia di un popolo perchè così si potrebbe forse urtare la suscettibilità della minoranza.
Del resto il consenso parlamentare piovuto per il crocifisso da tutti i partiti è sinonimo di gaaranzia di salvaguardia di alcuni valori che non si possono barattare.
L’italia, la maggioranza del popolo italiano è cattolica e vuole il crocifisso, l’integrazione degli altri è garantita dagli altri luoghi di culto per mussulmani ebrei ed altri credi che sono stati costruiti in nome di una democrazia che in altri stati a maggioranza ebraice o mussulmana, non solo è negata ma è osteggiata con la violenza.
Per quanto riguarda i giorni festivi o le altre cose cattoliche, è bello prendersi le ferie, è bello mangiarsi il panettone dato in regalo nel cesto natalizio, senza ovviamente farsi scrupolo se anche quello può riportare al Natale.
Caro amico, a volte è facile prendersela con il crocifisso, con la chiesa e con i cattolici perchè criticare le nostre scelte, comporta come in questo caso lo sfociare in una discussione pacata e tranquilla, senza astio o polemiche, da buoni amici tolleranti del proprio credo o non credo, altra cosa sarebbe farla in altri parti del mondo dove oltre a non trovare il crocifisso, non si trova la tolleranza, il rispetto e la voglia di comunione e di democrazia.
Spero che un giorno il bambino ebreo tornando a casa dica al papà, perchè se tolgono il crocifisso dall’aula scolastica non togliamo anche noi la nostra stella?
Gentile Don Nello,
La ringrazio delle parole gentili, il piacere è reciproco. Per quanto riguarda le feste d’origine religiosa mi sembra un caso molto diverso, trovo anzi che abbia senso e non leda alcun diritto legare queste festività al sentire della maggioranza – posto ovviamente che nessuno sia obbligato a partecipare ad una funzione religiosa casomai in una classe – anche perché se la maggioranza dei cittadini comunque vi aderirebbe…. (immagino il 24 e 25 dicembre tutti in malattia…..).
Egregio Sig. Priore,
ci tengo a sottolineare che non è il crocifisso ad offendere (come potrebbe?), è il fatto che venga messo là dallo stato in spregio dei valori e dei principi cui dice di attenersi per legge e costituzione, è questo che solleva lo sdegno di chi ritiene che la costituzione e la legge siano una garanzia per tutti, cattolici, atei, musulmani, buddisti e quant’altro.
Per chi ha a cuore i valori costituzionali il problema si porrebbe identico se venisse esposto il Faravahar (simbolo degli Zoroastriani) o la squadra e il compasso (simbolo della massoneria) o qualsiasi altro simbolo che non sia un simbolo della Repubblica Italiana e dunque di tutti i cittadini.
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Caro sig. Priore,
mi permetto di aggiungere a quanto già chiarito da Fabio un ulteriore , piccola chiosa prendendo spunto da un passaggio del suo post:
[quote] – Tutto sommato credo che i loro genitori abbiano spiegato loro che l’integrazione va fatta accettando quello che la maggioranza di un popolo vuole esternare e non cancellando la storia di un popolo perchè così si potrebbe forse urtare la suscettibilità della minoranza [/quote]
La frase che lei utilizza fa riferimento a “quello che la maggioranza di un popolo vuole esternare”
Ebbene, io sono convinto che si sono momenti nella storia di un popolo e di uno stato in cui non si possa e non si debba accettare supinamente quanto “la maggioranza del popolo” ritiene giusto, corretto e ‘tradizionale’
Fingiamo per un attimo che non stiamo parlando della ostensione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche ma di un altra questione morale che abbia conseguenze dirette sulle leggi e addirittura sulle consuetudini diffuse in Italia
Pensiamo per un istante all’obiezione di coscienza al servizio di leva nelle forze armate.
Non si deve andare molto indietro nel tempo, la legge Italiana che riconosce il diritto al servizio civile alternativo al servizio militare di leva risale al 1972.
Prima di questo pieno riconoscimento, gli obiettori venivano equiparati ai renitenti, subendo conseguenze dirette delle loro scelte morali che a volte risultavano assai pesanti (lunghi periodi di reclusione nelle prigioni militari)
Eppure, vuoi per coerenza, vuoi per tenacia, vuoi per puntiglio, l’azione di un numero tutto sommato limitato di spiriti forti riuscì, ponendosi contro tutto e contro tutti (in particolar modo contro ogni “consuetudine diffusa”) a raggiungere un traguardo di integrazione e di civlità che ha poi consentito a centinaia di migliaia di giovani di impiegare un anno della propria vita servendo il proprio paese non in armi, ma assistendo invalidi, educando bamini o, come nel mio caso, prestando servizio nell’oratorio di una parrocchia di frontiera nel degradatissimo quartiere di Gianturco, alla periferia est di Napoli.
Anche oggi che il servizio di leva non esiste più, i giovani che ne sentano l’urgenza possono ugualmente dedicare 10 mesi al servizio civile presso uno dei numerosi enti convenzionati.
Oggi , rischiando in prima persona e subendone tutte le conseguenze, sono i vari Luigi Tosti, Franco Coppoli e Soile Lautsi che stanno portando avanti una lotta importante per tutto il Paese e che potrebbe portare a una nuova conquista di equilibrio e di civilità.
Sono perfettamente consapevole che ciò che io ho appena affermato risulti per “la maggiornza degli Italiani” qualcosa di insensato, sconclusionato e delirante, ma facciamo un attimo mente locale sulla questione del servizio civile di cui ho parlato più sopra.
Quando io ho prestato servizio civile ho fatto una cosa comune e diffusa – solo tra i miei compagni di liceo ci sono stati altri quattro obiettori.
Ma cosa avrebbe detto mio nonno della mia scelta, lui che nel ’41 partì volontario per la campagna d’Africa abbandonando gli studi di specializzaione in medicina? Cosa avrebbero detto i suoi coetanei, i suoi colleghi e commilitoni ufficiali medici in un ospedale di prima linea tra Libia ed Egitto o i soldati che ogni giorno arrivavano da loro su barelle insanguinate, disidratati e sofferenti per le ferite ricevute?
In conclusione: a volte le cose vanno solo viste nella giusta prospettiva, e mi rendo conto che per chi vive il presente può essere assai difficile prendere le distanze dal contesto contingente e giudicare i fatti con il dovuto distacco.
Vi chiederei pertanto , se vi va, solamente di ragionare su quanto vi ho ricordato….
…..magari tra qualche anno, quando tutta la (comprensibilissima) agitazione che oggi domina la scena si sarà un po’ placata, vedremo tutti le cose un po’ diversamente.
Grazie per l’attenzione.
Grazie delle garbate e articolate precisazioni.
Rimane secondo me ancora un problema. E’ vero che si è obbligati a far frequentare la scuola, però bisognerebbe nel contempo adoperarsi in tutti i modi affinchè ci sia una libera e diversa possibilità e non accettare supinamente. IL principio della libera scelta va sostenuto sempre e ovunque, anche intraprendendo iniziative non simpatiche agli occhi dei molti. Mi perdoni il passaggio: Cristo è un maestro in questo, solo contro tutti, si è giocato la vita, è morto in croce. Uno straodinario esempio di coerenza. Grazie per gli spunti di riflessione e auguro a ciascuno ogni gioia. Nello Senatore
Carissimo don Nello,
lei ha come suo riferimento Cristo come modello di coerenza e di sofferenza per affermare le proprie idee.
E’ una scelta che rispetto, ma è pur sempre la sua scelta – non la mia.
Io, per tornare alla mia breve digressione sull’obiezione di coscienza, potrei invece scegliere come modello Oscar Wilde che, già nel 1916, si rifiutò di rispondere alla chiamata alle armi – e ne pagò le conseguenze, sorbendosi la sua brava dose di galera.
E’ chiaro che sto estremizzando, ma il principio rimane a mio avviso rispettato.
E’ per questo che noi continueremo a sostenere le nostre posizioni, e ricercheremo con piacere lughi di confronto come questo dove possiamo liberamente e serenamente discutere delle nostre idee e dei nostri principi.
Del che, mi corre l’obbligo di ringraziare nuovamente tutti i partecipanti a questa discussione
E’ bello essere tra persone civili! Un ringraziamento a tutti coloro che mi hanno preceduto per la pacatezza dei toni ed il rispetto reciproco, pur nelle diversità di opinioni.
Mi aggiungo all’elenco dei sostenitori UAAR di cui sono uno dei coordinatori di circolo.
Non credo, francamente, che il fatto che oggi si possa, in Italia, parlare tranquillamente di credere o no sia merito della Chiesa o della tolleranza della religione cattolica. A mio modestissimo avviso questa tolleranza è molto più figlia della rivoluzione industriale e della rivoluzione francese che hanno comportato una evoluzione, pur non sempre tranquilla e pacata, verso una società sicuramente più liberale e più aperta. Non mi piace l’assolutismo delle affermazioni ma credo che la Chiesa abbia sempre privilegiato i potenti e si sia spesso (molto spesso) adagiata su consuetudini tipiche dei regimi.
Senza tornare troppo indietro, mentre in Francia si celebrava la Terza Repubblica, Pio IX, l’anno successivo all’annessione dello Stato della Chiesa, diceva che “Gli ebrei sono come i cani e a Roma ci sono troppi cani in giro”. Non brilla per tolleranza.
L’attuale pontefice, che accusa apertamente il nazismo di essere ateo, dimentica (o finge di farlo) le testimonianze fotografiche che dimostrano come la Chiesa non solo non abbia preso le distanze dal nazismo, ma ci abbia tranquillamente convissuto. Lo stesso Pio XII ha molti peccati in materia di leggi razziali e di non belligeranza, se non connivenza, con esse.
Detto questo, non vale il dire “vedete cosa succede dall’altra parte”. Noi atei non vogliamo nè l’una nè l’altra nè l’altra parte ancora. Meglio, le vogliamo tutte (compresa la nostra, se permettete), ma che tutte siano vissute in un ambito privato e nel rispetto delle altrui sensibilità.
Il crocefisso sulla parete di un’aula scolastica sta a testimoniare che lo Stato Italiano assegna a quel simbolo ed a ciò che rappresenta un valore essenziale (altrimenti non ce lo metterebbe). Questo valore essenziale è la religione che esso rappresenta: dire che il crocefisso è un simbolo laico, come sostenuto da qualche prelato, è, a mio avviso e ad avviso anche della CEDU (meglio della GHM), un’offesa anche per la Chiesa. Il crocefisso è il simbolo della religione cattolica.
Se su questo non siamo d’accordo, parliamone. Se danneggio un crocefisso o compio atti vandalici o anche, come è successo con l’esposizione dell’opera di Francesco Solmi, vengo accusato di vilipendio alla religione non alla tradizione. Di mestiere faccio l’informatico e sono abituato a ragionare con l’arida rigidità della logica (pur senza, per questo, essere sicuro di riuscirci) e se tanto mi da tanto, il crocefisso è un simbolo religioso.
Se, a questo punto, siamo d’accordo, allora il ragionamento viene da se. Lo Stato non può sponsorizzare nessuna religione, neppure se questa è la maggioranza.
Rimuovere il crocefisso non lede in alcun modo i diritti dei cattolici che hanno tanti modi, migliori rispetto a quelli dell’occupazione forzosa, di dimostrare il loro attaccamento vero e concreto alla loro fede.
Ho servito messa fino a 15 anni (poi mi sono perso, come direste voi cattolici), ma ho continuato a frequentare certi ambienti. Ricordo i Piccoli Fratelli di Gesù, ebbi modo di incontrare Carlo Carretto. Aveva una grande forza dentro, sicuramente proveniente dalla sua fede. Ma era sua e non pretendeva di inculcarla. Andavano in giro in mezzo ai minatori, agli zingari, senza ostentare la croce che portavano comunque indosso perchè, dicevano, “la croce non deve diventare un ostacolo tra me e mio fratello”.
Cari amici cattolici, io credo che, in tutta sincerità, non possiate non pensare che quel crocefisso appeso su una parete di un’aula scolastica non possa non essere un’occupazione indebita di uno stato che deve essere laico e, comunque, lo è per Costituzione.
Cordiali saluti.
Egregio signor Tomasone,
non credo sia logico parlare e prendere d’esempio altre cose, qui parliamo del Crocifisso, delle altre questioni non ci deve interessare, in questo momento.
Perchè potrei citarle, i tanti missionari trucidati in nome di valori ben più alti dell’obiezione di coscienza fatta in una nazione democratica e tollerante dove l’obiezione non comporta isolamento in carcere, così come accade in altri paesi.
Il Crocifisso per grazia di Dio non va in guerra, è “NATO” proprio per un progetto diverso, diametralmente opposto, è “NATO” per portare pace ed amore.
Io la invito a ragionare sul nostro paese e che se è tanto tollerante forse lo si deve anche al crocifisso.
PS dimenticavo, volevo farle sapere quello che oggi il Santo Padre ha detto sugli immigrati(tutti di religione diversa): “sono una risorsa non un problema per i Paesi che li accolgono”. Non mi sembra che altri esponenti di religione diversa dalla nostra abbiano mai espresso cose del genere.
Ovviamente rispetto e considero molto la sua posizione, e senza polemiche o risentimenti mi consenta di salutarla fraternamente in Cristo Gesù.
Egregio amico Antonio D’Eramo lei si difinisce informatico, ma quanto a storiografia credo che ecceda un po in qualunquismo. Mi sembra strano che tutti gli ebrei salvati dalla chiesa cattolica vadano a scontrarsi con la rivoluzione francese che ha nel suo armadio morti ghigliottinati o interi villaggi rasi al suolo solo perchè difensori del cristianesimo, la rivoluzione francese in nome di una falsa antropologia, ha spianato la strada ai nuovi ricchi, agli avventori del successo a tutti i costi.
a testimonianza di ciò le cito
Jean-Marie BENOIST: Comparso su «Le Monde» del 6 gennaio scorso, questo articolo di Jean-Marie Benoist, che fu “compagno di strada” dei «nouveaux philosophes», costituisce un’autorevole (quanto per certi versi inattesa) introduzione alle celebrazioni per il bicentenario della Rivoluzione francese. Come tale, e come testimonianza non sospetta su splendori e miserie del movimento rivoluzionario, lo riproponiamo in traduzione italiana:
In effetti, se resta auspicabile che sia celebrato con la massima solennità il bicentenario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino -atto di nascita di un rispetto giuridico e costituzionale della persona ugualmente perseguito dal popolo e dal re-, risulta parimenti fuor di luogo che la Francia si lasci andare oggi, con tanto di benedizione presidenziale, alla commemorazione di episodi barbari e cruenti che ne macchiano la storia, quali il Terrore e la guerra contro tutta Europa. Un delirio omicida che imperversò tra il 1792 e il 1794, protraendosi poi nella crudeltà delle guerre napoleoniche, delle quali più di una nazione amica conserva ancor oggi un sinistro ricordo: sono lungi dall’essere dimenticati, per esempio, i massacri perpetrati in Spagna dall’esercito imperiale, e sarebbe del tutto risibile il tentativo di negare che, alla base di simili avvenimenti, vi sia quella febbre rivoluzionaria che portò la Francia a isolarsi dal resto d’Europa e a ingaggiare un conflitto immane, opponendola agli altri Paesi e facendole credere di essere in stato d’assedio permanente.
Terrorismo di Stato
In realtà, il motivo per cui risulta inconcepibile una commemorazione “in blocco” della Rivoluzione risiede nell’invalicabile linea di demarcazione che separa, da un lato, l’apporto per così dire “umanistico”, di origine illuminista, costituito dalla Dichiarazione dei diritti e, dall’altro, la razzia sanguinaria che ha inizio nel 1791 per culminare nel 1793 e 1794 e che calpesta in modo esemplare e incontestabile quegli stessi principi e quegli stessi valori enunciati con precisione nel testo del 1789. Tutti d’accordo nel commemorare la Dichiarazione ma, quanto al Terrore, sarebbe necessario non perdere del tutto la memoria, di modo che i francesi possano -in piena lucidità e senza alcun compromesso- interrogare la propria storia su questo enigma di follia sanguinaria che si é impadronito del loro Paese e ha inaugurato le forme più avanzate di barbarie, fornendo un modello che l’abiezione nazista e stalinista del XX secolo ha cercato di imitare, o riferendosi al quale ha inteso giustificarsi. Proviamo ad ascoltare l’ammonimento di Claude Lévi-Strauss alla vigilia del 1989: “La Rivoluzione ha messo in circolazione idee e valori che hanno affascinato l’Europa e poi il mondo, e che procurarono alla Francia, per più di un secolo, un prestigio e un’influenza eccezionali. Ci si potrebbe tuttavia domandare se le catastrofi che si sono abbattute sull’Occidente non abbiano qui la loro origine. [Questo] perché si è messo in testa alla gente che la società appartiene al pensiero astratto, mentre invece è fatta di abitudini, di usanze, e perché frantumando queste ultime sotto le macine della ragione, si distruggono dei generi di vita fondati su una lunga tradizione e si riducono gli individui allo stato di atomi intercambiabili e anonimi. La libertà autentica può soltanto avere un contenuto concreto” (Claude Lévi-Strauss – Didier Eribon, Da vicino e da lontano, Rizzoli, Milano 1988, p. 167). Nelle celebrazioni del bicentenario si tratta pertanto, in primo luogo, di disintossicarsi da entrambe le specie di mitologia rivoluzionaria: l’ebrezza dell’astrazione (che sfocia nel delirio universalista della tabula rasa) e la follia sanguinaria che -impadronitasi di Danton, Robespierre, Saint-Just, Marat- portò all’eliminazione sistematica di schiere di singoli individui storici (gli aristocratici, i preti refrattari) in onta ai diritti dell’uomo e della persona, con il pretesto che si trattava di appartenenti a categorie che la Rivoluzione, nella sua sacralità, aveva deciso di estirpare dal paesaggio francese. Il kantismo e il pensiero illuminista sono un punto di riferimento obbligato per questo tentativo di esercizio critico sulla mitologia rivoluzionaria. In questa prospettiva il bicentenario del 1789 apparirà come un’occasione insperata per ricollocare nel contesto originario la Dichiarazione dei diritti e per ripudiare solennemente le imprese efferate del terrorismo di Stato. La Dichiarazione rimane un testo innovativo, un documento che, nel rivendicare il rispetto per la persona, ha il merito di rendere universali le definizioni filosofiche e giuridiche delle prerogative di cui ogni uomo è portatore: l’uguaglianza davanti alla legge, la libertà di coscienza, di espressione, di partecipazione alla vita politica, il diritto alla proprietà e numerosi altri diritti di natura pubblica sono qui solennemente garantiti in quanto fondamentali e inerenti alla persona umana.
PENSO CHE LA TENACIA CON CUI GLI ATEI STANNO CONDUCENDO QUESTA CAMPAGNA PER ESPELLERE CRISTO DALLA STORIA, SIA PROPRIO IL SEGNO DELLA LORO DEBOLEZZA.DIFATTO CIO CHE NON INTERESSA NELLA MAGGIOR PARTE DELLE PERSONE NON PRODUCE NESSUN EFFETTO, FA RESTARE INDIFFERENTI. PERTANTO IL FATTO CHE QUESTA IMMAGINE RAPPRESENTI UN DISTURBO ALLA LORO PSICHE E’ LA DIMOSTRAZIONE DELLA FORZA CHE EMANA IL CROCEFISSO. SAREI ANCHE FAVOREVOLE A RIMUOVERE IL CROCEFISSO SE FOSSE DIMOSTRATO CHE QUESTO FAREBBE CESSARE I LORO PROBLEMI, MA POICHE’ NON LO CREDO PENSO CHE DOVRANNO AVERE ANCORA MOLTI SECOLI DI PAZIENZA PRIMA CHE CIO’ ACCADA.GRAZIE A TUTTI
Cari tutti,
penso che la cosa migliore sia attenersi al tema in questione altrimenti si parla di tutto ovvero di nulla. Siamo qui perché ho apprezzato l’iniziativa “Un crocifisso al collo” non per altri motivi.
E ovviamente il crocifisso non risulta offensivo in alcun modo, altrimenti come potrei apprezzare l’iniziativa “Un crocifisso al collo”?
Quello che va sottolineato è che l’aspetto problematico della vicenda è il comportamento dello stato!
Uno stato che opera una discriminazione in quanto espone come simbolo proprio (e dunque di tutti i cittadini) il simbolo di una parte della popolazione.
Il tentativo poi di ridurre il crocifisso a mero simbolo culturale lo trovo riduttivo del sentimento religioso dei cattolici e furbesco verso chi cattolico non è; diciamocela tutta è un modo come un altro per non affrontare il problema con chiarezza.
Ad esempio troverei pretestuoso qualcuno che volesse convincermi che il mandolino è solo un simbolo culturale e non uno strumento musicale…. o no?
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Alle volte rifletto che come 2000 anni fa nello scandalo della Croce ci furono e ci sono i peccati di noi tutti, così nei tanti Crocefissi, per’altro già rimossi in tante scuole o uffici pubblici, c’è una grande responsabilità nell’indifferenza dei cristiani. Sotto quella Croce ci saremmo dovuti essere ogni istante della nostra esistenza a contemplare un mistero, a fermare il viandante e l’indifferente con una testimonianza di fede forte e coerente. La Croce non può diventare una spada che divide, un palcoscenico urlante, un’ occasione politica ma un segno al di sopra e che unisce le singole membra nella storia di Cristo.Nel Crocefisso di Cimabue viene rappresentato un Cristo immortale con gli occhi aperti, vivi. Un Cristo non più sofferente che ha parlato con noi del nostro dolore, di ingiustizie e malvagità aprendo nello stesso tempo l’orizzonte a una grande speranza di vita eterna e per tanti l’interrogativo della possibilità che “non omnias moriar” (Orazio). Grazie Don Nello per l’occasione che ci offre di riscoprire le ragioni della nostra fede. Corrado Caso
Spettabile sigorn Caso,
pur apprezzando la sua digressione sui momenti “trascendenti” che la contemplazione del crocifisso può ingenerare nell’animo di taluni, vorrei ricordare quanto giustamente sottolineava Fabio:
“penso che la cosa migliore sia attenersi al tema in questione altrimenti si parla di tutto ovvero di nulla. Siamo qui perché ho apprezzato l’iniziativa “Un crocifisso al collo” non per altri motivi.
E ovviamente il crocifisso non risulta offensivo in alcun modo, altrimenti come potrei apprezzare l’iniziativa “Un crocifisso al collo”?
Quello che va sottolineato è che l’aspetto problematico della vicenda è il comportamento dello stato!”
Sarei infatti curioso di conoscere la sua opinione su _questo_ specifico punto: a suo giudizio uno stato opera o non opera una discriminazione esponendo come simbolo proprio (e dunque di tutti i cittadini) il simbolo di una parte della popolazione?
Grazie per l’attenzione
gentile Signor Mario,
innanzitutto la voglio ringraziare per il tempo che mi ha dedicato nel leggermi. Il crocefisso ha vita per tanti come me perché è la ragione stessa di una fede nella vita e una speranza di vita. Non condivide IL CROCEFISSO
MI SCUSO…ho anticipato con una mossa perdente l’invio
…una logica di potere o di Stato, ma la maggioranza della società occidentale riconosce nella civiltà greco-romana e nel pensiero cristiano le fondamenta della sua stessa civiltà. Questi elementi trasmessi per generazioni hanno, forse, meterializzato un bisogno oltre che mentale visivo, la necessità della presenza del Crocefisso in ogni strada, su cento monti che ci circondano, in ogni casa. Le donne russe hanno conservato in tempi di persecuzione gelosamente nascoste le sacre icone per poi mostrarle come una testimonianza di fedeltà.E’ difficile per me considerare Cristo un oggetto di Stato, una Bandiera o la sfilata delle Forze Armate o una qualsivoglia contrapposizione S.Paolo parlava agli Ebrei e ai Gentili. Forse oltre questo equivoco ingenerato anche da un’ atmosfera di crociata e non di ragionevole confronto potremmo allineare i nostri pensieri e raccontarci diversamente. Grazie e affettuosi saluti.
…..quindi?
DOPO LA CROCE LA RELIGIONE DEL VUOTO
Sono rimasto molto colpito non tanto dalla decisione della corte europea circa la presenza del crocifisso nelle aule, quanto dal modo con cui si sono succedute le reazioni, e dal tipo di argomentazioni che si sono addotte.
In primo luogo, da credente, mi dissocio radicalmente da coloro, tra cui alcuni cattolici integralisti, che stanno strumentalizzando tale questione per farci ricadere nell’intolleranza, o per proclamare la superiorità della nostra civiltà (cristiana) rispetto alle altre. Come mi dissocio da coloro che in questi giorni hanno rivolto delle minacce di morte nei riguardi della famiglia autrice del ricorso alla Corte europea per togliere il crocifisso, come alcuni sindaci leghisti. Non abbiamo bisogno di fare una nuova crociata, con striscioni o fabbricando migliaia di crocifissi da sbandierare in giro. Il cristianesimo vero non fa martiri, caso mai è pronto a subirlo ancora, proprio come quel Gesù di Nazareth che si vuole scalzare e screditare. Non risponde alla violenza con la violenza, non inveisce contro nessuno. Per difendersi, non alza la voce, né condanna chissà chi, ma, come il crocifisso, lo fa, tacendo il dolore che si può provare di fronte al libero rifiuto di chi non ne coglie il senso. Al limite se lo fa, lo realizza con le armi della persuasione, con le armi della ragione e del buon senso, sapendo che bisogna amare a partire dai propri nemici, a volte rischiando anche l’incomprensione degli stessi. Non fa pagare agli altri il prezzo della propria verità, ma vive quella verità, pagandone il prezzo sul manto della propria pelle.
Mi dissocio anche da coloro che approfittano di tale situazione per prendersela con i fratelli musulmani, i quali – almeno quelli autentici e moderati -, tra l’altro, non sono d’accordo su tale decisione. Molti cristiani oggi pensano sia giusto dover trattare i musulmani integralisti come loro trattano noi, dimenticando che noi cristiani, invece che imitare chissà chi, siamo chiamati ad imitare proprio quel crocifisso che vogliono eliminare. Dopo il Concilio Vat. II ci abbiamo messi anni per tessere legami di dialogo interreligioso, e ora vogliamo azzerare tutti i passi importanti compiuti a riguardo. Piuttosto che farsi la guerra le religioni potrebbero oggi costituire il luogo di incontro tra culture diverse per costruire una nuova civiltà della pace.
Posso anche dare ragione a chi pensa di avere il diritto di togliere il crocifisso dalle aule scolastiche o dai tribunali. Sappia costui che la mia fede non dipende dalla quantità di spazio pubblico che gli viene riconosciuta, ma da quanto essa riuscirà, nel silenzio, a costruire saldi legami sociali, o da come inciderà sul costume e sulle virtù dei politici, o se saprà ispirare forme di buon governo orientate alla ricerca del bene comune.
Allo stesso tempo però non gli concedo il fatto che facciano questa richiesta in nome della ragione, come se la ragione fosse patrimonio esclusivo di chi non crede, facendo così intendere che chi invece ha scelto di avere fede è come se avesse rinunciato alla ragione. Francamente non so se vi sia più ragione in chi usa la ragione per non credere, o in chi la usa per credere. Come non so se chi nega la religione vi ha rinunciato ad una tutta sua. Infatti, come diceva già Nietzsche, la negazione di una religione è a sua volta una religione. Non dicano perciò “non abbiamo bisogno della religione”, ma dicano piuttosto “la nostra religione è il vuoto di religione”. Almeno non si macchierebbero di ipocrisia. Si nascondono dietro la scusa che le aule devono essere vuote di simboli religiosi. Posso anche darli ragione, ma francamente non comprendo come mai non si rendano conto del fatto che oggi sta andando in scena un’altra religione, molto più pericolosa: la religione del vuoto, in quanto nelle aule un altro simbolo prenderà il posto di quelli che vogliamo togliere: i muri vuoti.
Non capisco pertanto la soddisfazione dei laicisti, i quali non si rendono conto che il loro non è vero laicismo, per il semplice fatto che un laicismo che assolutizza se stesso, diventando dogmatico più della stessa religione, è peggio dei tribunali di Inquisizione del passato
Allo stesso tempo non sopporto l’allarmismo di noi cristiani, che, piuttosto che condannare tale decisione, dovremmo preoccuparci del nostro modo non sempre coerente di testimoniare quello che il crocifisso rappresenta. Se oggi è accaduto che alcuni chiedono di togliere il crocifisso come simbolo religioso, forse è anche perché siamo stati noi credenti a renderlo invisibile e impalpabile, insignificante, o ad averlo relegato ad una sfera puramente devozionistica, o addirittura ad averlo reso impraticabile con le nostre cattive testimonianze. Forse un poco di responsabilità è anche di noi credenti, che non siamo stati capaci di far valere il crocifisso come provocazione e domanda, ma solo come qualcosa di ovvio e come soluzione data e scontata; noi credenti, che non abbiamo saputo far valere questo simbolo come sfida e denuncia verso i peccati sociali (usura, illegalità diffusa, corruzione della politica, squilibri economici), allo scopo di inchiodare le bugie del nostro tempo, e per risvegliare le coscienze di fronte alla caduta dei valori dell’uguaglianza, della democrazia reale, dando invece una copertura e una giustificazione mistificatrice dell’ordine esistente, sempre favorevole ad alcuni pochi privilegiati, e svantaggiosa per i molti. Invece, lo abbiamo usato come simbolo di potere, per cercare vie privilegiate, e alternative alla croce stessa, per annunciare il vangelo, e metterci al posto la coscienza.
L’ateismo (cfr. Gaudium et spes ai nn. 19-21) di quel ragazzo, la cui madre si è rivolta all’Europa è anche figlio di un certo cristianesimo annacquato, che al nord caccia gli stranieri, mentre al sud regala le processioni ai mafiosi, un cristianesimo lontano dal sociale, dagli ultimi e incapace di lottare contro le ingiustizie che subiscono i diseredati. Il crocifisso, per essere reso visibile, non chiede aule scolastiche, quanto piuttosto piedi e spalle di cristiani che, come tanti in questi anni hanno fatto (don Tonino bello, don Pugliesi, don Benzi), sappiano lottare per dare visibilità ai crocifissi di oggi. Allora provocatoriamente dico che, se ci potranno togliere anche il crocifisso dalle aule, di certo non ci toglieranno mai i tanti crocifissi sparsi per strada, i tanti fratelli ultimi ed emarginati nei quali, dopo la croce, il Cristo ha posto la sua ultima dimora sulla terra. Forse, se torneremo a prenderci cura di questi, come ha fatto il Buon samaritano, sentiranno nostalgia di quel crocifisso che ora vogliono eliminare.
A chi poi pensa di avere ragione nel togliere il crocifisso dalle aule, sappia che se si caccia il crocifisso non fa che confermarlo. E’infatti nella sua stessa logica l’essere cacciato. In tutta la sua vita il Nazareno non è stato altro che uno straniero tra i suoi, continuamente cacciato da tutti i luoghi, senza avere una pietra su cui poggiare il capo. Nella logica di chi ha scelto di morire per tutti, forse anche questo rifiuto era stato messo in conto. L’essenza della croce sta nella logica dell’amore di chi si è offerto a coloro che lo hanno negato-rinnegato. Cristo, infatti, è stato crocifisso fuori dalle mura della città, come un reietto, “come uno di fronte al quale ci si copre la faccia”, come dice il profeta Isaia. E ora ci scandalizziamo che alcuni cosiddetti “atei” si coprano la faccia davanti a lui perché provano un certo fastidio? Mi preoccupa non tanto l’episodio in sè, quanto il fatto che si senta più fastidio davanti ad un crocifisso che ad un muro vuoto. Aveva ragione il poeta romantico tedesco Hölderlin il quale diceva che “la più grande povertà per l’umanità non è tanto l’assenza di Dio, quanto piuttosto il non provarne più nostalgia”.
Perciò non dobbiamo, da cristiani, avere paura se tolgono il crocifisso dalle aule, ma dobbiamo piuttosto temere se – con l’indifferenza e l’apatia religiosa, con la devozione che si maschera di rispettabilità – riusciranno a togliere la croce dalle nostre spalle, sapendo che, in coerenza con il vangelo, saremo disposti a portarla anche per coloro che in essa non vedono alcun tipo di significato.