BENEDETTO XVI

Spesso non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire. Del resto, Egli neppure ci impedisce di gridare, come Gesù in croce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » (Mt 27, 46). Noi dovremmo rimanere con questa domanda di fronte al suo volto, in dialogo orante: « Fino a quando esiterai ancora, Signore, tu che sei santo e verace? » (Ap 6, 10). È sant’Agostino che dà a questa nostra sofferenza la risposta della fede: « Si comprehendis, non est Deus » — Se tu lo comprendi, allora non è Dio. La nostra protesta non vuole sfidare Dio, né insinuare la presenza in Lui di errore, debolezza o indifferenza. Per il credente non è possibile pensare che Egli sia impotente, oppure che « stia dormendo » (cfr 1 Re 18, 27). Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà. I cristiani infatti continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella « bontà di Dio » e nel « suo amore per gli uomini » (Tt 3, 4). Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi. (Benedetto XVI, Deus caritas est.  Lettera enciclica del 25 Dicembre 2005). 

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