Lectio al Vangelo di domenica 4 novembre 2012 (per la famiglia)

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
Vangelo: Dt 6,2-6 – Sal 17(18) – Eb 7,23-28 – Mc 12,28b-34   Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Mc 12,28-34)

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio» (Mc 12, 32-34).

Una bella notizia, quella dell’Evangelo di oggi: il messaggio di novità del Cristo può infiammare anche i maestri della legge, i garanti dell’istituzione, e Gesù stesso – che sa distinguere le adesioni sentimentali da quelle adulte e mature, le adesioni intellettuali da quelle morali – sente il bisogno di esclamare: “Tu non sei lontano dal regno di Dio!”.

Allora non è vero che le rivoluzioni – perché quella portata da Gesù è una rivoluzione autentica – non lascino un segno profondo nell’umanità, e che l’ “utopia” dell’amore universale sia improponibile. L’utopia non è mai qualcosa di irrealizzabile, ma è certamente ciò che l’istituzione contrasta con maggior forza perché ne teme la carica eversiva.

L’amore – ogni forma di amore – è rivoluzione, “stato nascente” di ogni vero rinnovamento. È un valore religioso per eccellenza: “religioso” non nel senso che ne dà l’ istituzione, portata a cauzionare i valori, a discriminarli tra negoziabili e non negoziabili. È un coinvolgimento rischioso, perché quando si entra nella logica dell’amore, come uscirne?, è un “test” per comprendere la nostra appartenenza a Dio, alla sua vita in Lui, cioè al regno. Ma è anche un test che può rivelarsi impietoso, che mette a nudo i nostri condizionamenti, che scopre fino alla carne viva le nostre bugie pietose e le nostre difese.

È quanto ha scoperto quello scriba onesto e dignitoso. L’amore non è sentimento, è volontà: quanta fatica occorre mettere in conto per amare veramente! L’amore è politico. Spesso diciamo di amare Dio, non perdiamo una liturgia ed anzi ci mettiamo nei primi banchi delle chiese, vantandoci della nostra appartenenza alla Chiesa e sentendoci giustificati: ma poi bariamo quando ci confrontiamo sull’amore concreto per i fratelli. Non basta provare un momento di commozione per i milioni di bambini che muoiono di fame, per i profughi sparsi nei campi del mondo, per le donne violentate (ma non se lo sono cercato…?, siamo anche capaci di dire) e uccise, per i martiri di ogni fede, di ogni credo e di ogni colore assassinati dal razzismo più bieco… Il test dell’amore è molto più severo. Ci chiama a scelte politiche conseguenti, il che significa prima di tutto rifiutare certe politiche che continuano a favorire i più ricchi e a mettere i più poveri con la faccia a terra. Condividere, non solo intellettualmente (questo non è difficile) una prassi di liberazione. Come aveva intuito il Salmista, il Signore ci chiede questo passaggio, perché… «tu salvi il popolo dei poveri, ma abbassi gli occhi dei superbi» (Sal 18, 28). Ci chiede di lottare giorno per giorno, senza stancarci, per costruire un mondo più fraterno, ispirandoci meno ai libri dell’economia bocconiana e più all’evangelo. Amore è soprattutto incarnazione: nella storia, nel lavoro o nel dramma degli “esodati”, nella sessualità gioiosa, adulta e responsabile, nella nostra famiglia forse un po’ “scalcagnata”, forse “irregolare” agli occhi dell’istituzione, ma pur sempre luogo in cui investiamo i nostri sentimenti e la nostra vita, nella comunità.

Per amore, solo per amore. E per essere anche noi “non lontani” dal regno di Dio.

Per la riflessione di coppia e di famiglia.

1) Che cosa significa, per la nostra famiglia, “volersi bene”?

2) Ci capita di sognare, in coppia e in famiglia, una chiesa sempre meno impegnata a parlare di legge, di codici, di diritto canonico, di condanna, di bei paramenti ricchi e lussuosi, e sempre più di amore e di misericordia? Una chiesa davvero “povera”? Una chiesa in cui più nessuno sia ghettizzato, ma in cui tutti, uomini e donne, celibi e sposati, siano impegnati allo stesso titolo a testimoniare la fraternità?

 

 

 

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