Perché nessuno parla della condanna a morte (eseguita) di Teresa Lewis

Teresa Lewis se n’è andata in una tiepida sera di luna piena, nella stanza della morte di un carcere nel cuore della Virginia, dove inizia il sud degli Stati Uniti. La «testa del serpente», così come l’aveva chiamata il giudice che nel 2005 l’ha condannata a morte, considerata disabile da tutti i periti medici, ha ricevuto l’iniezione letale davanti a una decina di testimoni civili e, in una sala distinta, ai parenti delle vittime.

«Ha mosso un pò i piedi, poi piano piano si è fermata», racconta una giornalista che ha assistito all’esecuzione. Nei tredici minuti, tra le 21 e le 21.13 di ieri ora locale (le 3.13 di oggi in Italia), in cui il veleno faceva effetto, fuori dal Greensville Correctional Center, illuminato a giorno dalle troupe televisive, si ascoltavano le campane dei pochi che protestavano contro la pena di morte, tenuti a distanza fuori dal recinto della prigione, da guardie armate sino ai denti.

Prima di morire, Teresa ha pregato con il suo cappellano e con il suo avvocato. Poi, terrorizzata, si è avvicinata al lettino, ha chiesto se era presente la figlia Kathy e ha detto poche parole: «Voglio solo dire che l’ho sempre amata e che mi scuso per quanto è successo». Nella stanza una decina di uomini, ufficiali del carcere, e cinque uomini dello staff che si occupano di somministrare il cocktail letale. Un agente attaccato a un telefono posto su una parete, collegato con l’ufficio del Governatore Bob McDonnell, ove mai avesse un ripensamento dell’ultimo momento.

Poi, hanno riferito i testimoni, sulla lettiga di morte è calata una tenda blu scura, beffardo strumento di pudore in mezzo alla tragedia. In quei pochi secondi, senza poter essere visto, uno di questi uomini ha inserito l’ago nella vena dove poi sono stati iniettati prima il sedativo, poi una sostanza per portarla a uno stato catatonico, infine il veleno che ha provocato l’arresto cardiaco.

«In queste ultime ore – racconta l’avvocato di Teresa, Jim Rocap – ha cantato e pregato. È andata via senza recriminazioni, terrorizzata, ma tranquilla». Poi, però, davanti ai microfoni, sfoga tutta la sua amarezza: «Stanotte la macchina di morte dello Stato della Virginia ha ucciso la bellezza e lo spirito umano di Teresa Lewis. Per i suoi amici, per noi, che chi si batte contro la pena di morte in tutto il mondo, la sua morte è una gravissima perdita. La nostra speranza è che il suo sacrificio assurdo possa aprire la mente di molti e riconsiderare questo tremendo sistema giudiziario».

I cronisti chiedono dettagli sulle sue ultime ore, su com’era vestita, sul menù del suo ultimo pasto. Passa poco e si spengono le telecamere. Poco lontano il gruppetto degli abolizionisti, piegano i loro cartelli. Su uno di questi c’era scritto: «Perchè uccidiamo persone che hanno ucciso altre persone per insegnare che uccidere è sbagliato?».

Da “Avvenire” on-line del 24 settembre 2010

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *